Pratico jiu jitsu dal 2002, un periodo storico ancora pionieristico in Italia e sicuramente con meno reperibilità di informazioni, dovuta in parte all’enorme costo da affrontare per viaggiare verso paesi dove il jiu jitsu era già largamente diffuso e radicato, un po’ perchè alla fine degli anni 90 ed inizi 2000 ancora piattaforme come youtube si stavano affermando e quindi eravamo ad anni luce dalla fruibilità di oggi dove basta aprire instagram e si trovano migliaia di contenuti tecnici da esplorare.

Per poter progredire quindi i vari maestri dell’epoca cercavano di portare nel nostro paese atleti/insegnanti utilizzando la pratica dei seminari al fine di poter avere materiale su cui lavorare.

Questa modalità fu fondamentale per ampliare la base di coscienza (non conoscenza) delle tecniche che componevano grosso modo il jiu jitsu brasiliano.

Il problema, però, è che non sempre chi veniva ad elargire conoscenza lo faceva con l’intento di far crescere chi ascoltava, anzi molto spesso venivano a vendere tecniche “cockie” per impressionare i presenti che, non avendo una conoscenza adeguata, si soffermavano sulla spettacolarità del movimento e non sulla sua reale utilità.

Il che rendeva questi seminari via via meno utili, senza che noi ce ne rendessimo conto.

Accumulare tanti movimenti che però poi non trovavano reale applicazione non era certo la via migliore.

Un altro elemento che mi portò ben presto a realizzare che imparare ed insegnare il jiu jitsu non potesse essere semplicemente questione di ripetere pedissequamente ciò che mi veniva spiegato era il continuo sentirmi ripetere che la bellezza del bjj fosse il fatto che si cucisse su misura del praticante in base alle sue caratteristiche, allora in che modo si poteva imparare con lezioni standardizzate se ognuno di noi aveva caratteristiche totalmente diverse?

Era evidente che la risposta più immediata fosse anche la più commerciale: le lezioni private. Era quindi il bjj uno sport riservato solo a chi avesse la disponibilità economica per poter fare lezioni a tu per tu con il maestro?

La risposta DOVEVA essere ovviamente NO!

Oggi dopo tanto anni di pratica ed insegnamento ho capito che l’errore era proprio alla radice, nello specifico nei seguenti interrogativi a cui qualsiasi insegnante deve trovare una risposta:

  • che cosa è per me il bjj?

  • come funziona il processo di apprendimento
  • quali sono i concetti che voglio passare

  • con quali tecniche con le quali voglio dimostrare questi concetti

L’ importanza trovare una risposta concreta a queste domande è cruciale poiché è attraverso di esse che daremo forma al nostro modo di intendere il jiu jitsu, stabilendo così in maniera chiara ciò che vogliamo trasmettere e come lo vogliamo trasmettere, permettendoci di tracciare un percorso ben definito e nel percorrerlo potremmo verificare se gli strumenti che stiamo utilizzando siano realmente funzionali al raggiungimento degli obbiettivi prefissati o se è necessario rivederli/integrarli per rendere la nostra metodologia sempre più confacente al nostro pubblico/classe.

Nel mio caso specifico, la visione che ha fatto da base fondante al mio modo di insegnare e allenare è stata estremamente influenzata dai seguenti fattori:

  • le mie esperienze da studente/atleta

  • i miei viaggi di allenamento in altre scuole

  • la formazione arbitrale

E’ indubbio che la nostra formazione cominci da cintura bianca e che il nostro maestro, abbia un enorme influenza nella nostra formazione, basti pensare che ancora oggi, dopo circa 13 anni che ho lasciato la mia scuola madre, mi esprimo nelle mie spiegazioni utilizzando la cadenza del mio maestro.

Tuttavia, come ho già detto, ho cominciato a fare jiu jitsu in tempi pionieristici, dove il mio stesso maestro si stava ancora formando, e se pensiamo che quando ho cominciato egli era ancora una cintura viola e che successivamente è diventato la prima cintura nera italiana (o quanto meno così lui sostiene), questo ci da la misura di quanto fosse necessario viaggiare per trovare altre fonti e confrontarsi con diversi modi di intendere, praticare ed insegnare il bjj.

Sin da cintura blu ho cominciato a viaggiare anche oltre oceano per gareggiare ed allenarmi. Nel 2006 feci il mio primo viaggio intercontinentale per allenarmi a Rio de Janeiro con l’intenzione di competere e imparare.

Mi allenai alla AKSE, stando il più possibile alle calcagna di quello che il mio maestro considerava una guida tecnica con un approccio differente alla pratica e alla didattica: Octavio Couto.

Mi allenavo con lui ad ogni turno, compreso quello della difesa personale e dei bambini, cercando di imparare tecniche e metodologia.

Per la prima volta si andava oltre il collezionare tecniche avendo un approccio più scientifico orientato agli angoli di forza e alla meccanica del corpo in relazione alla gravità.

Era tutto molto interessante, ma compresi che, salvo alcuni elementi, non era un accademia orientata all’agonismo, così un giorno chiesi al mio amico Alessandro Tomei che si era stabilito li da qualche anno, se potesse portarmi ad allenarmi dal mio idolo dell’epoca, il suo Maestro Ricardo Vieira.

Mi accontentò e mi ospitò in casa sua, visto che l’accademia era dall’altra parte di Rio, e la mattina mi portò al turno da competizione dove erano presenti anche i ragazzi del progetto sociale che Ricardo portava avanti nella favela di Cantagalo.

Fu un evento che mi scosse nel profondo, tanto da non proferire parola per un giorno intero.

Non riuscivo a capacitarmi di quanto distante tecnicamente e agonisticamente fossi da quella realtà.

Era ovvio che avrei riscontrato una differenza, ma che mi sembrasse di praticare totalmente un altro sport…non mi aspettavo di certo una cosa del genere.

Questo fece maturare in me l’idea errata che teoria e pratica fossero inconciliabili, la realtà di cui mi resi conto continuando a studiare e viaggiare è che la teoria non concilia con la pratica quando la metodologia di insegnamento e di allenamento non le mettono in comunicazione. Tipica situazione di quell’epoca, poiché il nostro unico focus era sulla ripetizione per tempi più prolungati di una determinata tecnica.

L’altro elemento chiave che mi ha poi aiutato a capire meglio la natura di ciò che facciamo e come dovrebbe essere praticato e insegnato è stato il lavoro come arbitro, che mi ha portato a conoscere più intimamente il regolamento e il perchè questo è così.

I quattro principi fondanti del regolamento sono:

  • Sicurezza

  • Efficienza nella difesa personale

  • Armonia con il metodo di insegnamento

  • Progressione

Questi principi sono fondamentali anche per l’insegnamento e lo sviluppo di un salutare sistema di allenamento.

Ora alla luce di quanto scritto veniamo al punto più importante, la definizione di cosa è per me il jiu jitsu, perchè non si può insegnare qualcosa se non abbiamo chiaro cosa questa sia per noi.

Lo scopo del jiu jitsu è sottomettere l’avversario e questo è chiaro, ma in che modo questo lo rende diverso da altri sport che hanno la sottomissione come metodo di vittoria.

Una volta lessi un intervista di Leonardo Vieira che diceva “la sottomissione viene dopo il controllo.”

Più avanti compresi come questa frase rispecchiasse il secondo e il quarto principio del regolamento arrivando a definire cosa è il jiu jitsu per me:

Il jiu jitsu è un arte marziale il cui scopo è la sottomissione come diretta conseguenza di un controllo/dominio”

In questa frase trovo sia racchiusa l’essenza, la genialità e l’efficacia del jiu jitsu, poiché non siamo depositari di tecniche segrete millenarie, bensì abbiamo il grande merito di aver organizzato la conoscenza della lotta corpo a corpo solidificando le meccaniche del controllo del corpo dell’avversario per produrre un risultato quanto il più possibile certo.

Basti pensare che molte leve e strangolamenti che sono presenti nel bjj esistono anche nel krav maga o nell’aikido, o senza andare troppo lontani nel nostro fratello maggiore il judo, quello che ci rende speciali però è proprio la capacità di utilizzarle dominando l’avversario senza lasciargli vie di uscita, cosa che le discipline suddette viene tralasciata rendendo tali attacchi spesso inefficaci o troppo dipendenti dalla forza e dalla velocità di esecuzione, caratteristiche diverse di persona in persona.